La spiaggia dei francesi

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7°  classificato  - Veneto del mistero 2022 - Viaggio nell'insolito - Quarto d'Altino (VE)


La spiaggia dei francesi


Olli salì a bordo della sua vecchia Citroen 2CV e si diresse al mare. Era il suo primo giorno di ferie e nella sua borsa c’erano soltanto un telo, un paio di ciabatte e un pallone da calcio. Aveva voglia di rilassarsi. La macchina sfrecciò sull’asfalto con un rumore caldo e rassicurante tuttavia si ritrovò bloccato in un ingorgo a pochi kilometri dall'arrivo. Alzò il volume della radio e rimase in attesa. La sua mente scivolò sul viale dei ricordi.

A tredici anni aveva sfiorato il cielo con un dito. Giocava nella squadra di calcio giovanile del suo quartiere e ricevette a sorpresa una convocazione dai selezionatori della Juventus. Fece salti di gioia e si recò a Torino per un provino ufficiale in compagnia di suo padre e dell’allenatore. Era un campioncino nella sua categoria e considerava la maglia bianco-nera un Santo Graal.

Si misero in viaggio prima dell’alba. Olli dormì sdraiato sul sedile posteriore trattenendo a fatica l’eccitazione. Aveva intuito che avessero fatto uno sforzo accompagnarlo e si sentiva addosso una certa responsabilità. Guardava fuori dal finestrino e leggeva sui segnali stradali nomi di città che non aveva mai sentito nominare.

Dopo un viaggio interminabile raggiunsero un piccolo impianto sportivo in periferia, in una giornata uggiosa di fine autunno. La nebbia avvolgeva sinuosa i condomini e si sentiva il rombo del traffico echeggiare da lontano. C’erano centinaia di ragazzini provenienti da tutta Italia, accalcati su una tribunetta in acciaio e sugli spiazzi vicino allo spogliatoio. Sembrava di essere a una specie di corsa campestre e tutti avevano una gran voglia di mettersi in mostra. “Fai del tuo meglio, puoi farcela”, gli disse il suo allenatore. “Stai tranquillo che ti vogliamo bene lo stesso”, gli disse suo padre.

Olli sorseggiò un tè zuccherato da un bicchiere di plastica e s’infilò gli scarpini da gioco stando in piedi sotto una tettoia, quando la voce gracchiante di megafono lo convocò a bordo campo chiamandolo per cognome. Gli misero addosso una casacca fosforescente e lo buttarono in campo a partita in corso.

Il terreno era intriso d’acqua e c’era una confusione tale da perdere l’orientamento. Un tizio con un fischietto e un k-way lungo fino alle ginocchia gli indicò a gesti la posizione da tenere in campo. Olli non ci capì molto e un fastidioso raffreddore lo fece starnutire.

Cercò di darsi da fare andando a contrastare il ragazzino che teneva palla in quel momento ma finì subito lontano dal gioco. Fischiarono un fallo e rimasero tutti fermi per qualche minuto. Olli riprese con impegno ma giocò male, toccò pochi palloni e sbucciò una chiara occasione da rete. Un istante dopo gli dissero di cedere la casacca a un altro ragazzino. Pianse sotto la doccia a fine allenamento, consapevole di aver fallito.

 

Continuò a giocare a calcio fra i dilettanti senza mai smettere di puntare in alto. Si allenò duramente e, a parte qualche lavoretto saltuario, ripose nello sport la maggior parte delle sue aspettative. Per quasi vent’anni sperò segretamente che si ripetesse il miracolo di una convocazione da parte di un club di alta categoria ma non successe mai. Ogni sul quotidiano locale usciva un articolo su di lui tuttavia il suo talento rimase confinato nei campionati minori. Diventando adulto salutò sia suo padre che il suo allenatore e il ricordo di quel provino sfortunato tornava spesso a infastidirlo come un sassolino nella scarpa. 

 


La spiaggia dei francesi era un lido poco frequentato che tutti chiamavano così per via di un campeggio poco distante frequentato da turisti stranieri. Aveva un che di selvaggio e non c’erano né bar né ombrelloni. Olli lasciò da parte la nostalgia e si mise comodo a guardare il mare.

Notò alcuni ragazzi che giocavano a calcio su un campetto improvvisato. Erano a piedi scalzi e l’area di gioco era delimitata da paletti conficcati nella sabbia. Il pallone carambolò verso di lui con un rimbalzo fiacco.

- Play football? - gli chiese un giovanotto con un pesante accento francese.

- Play football! - rispose Olli, allertandosi di fronte a una proposta tanto gradita.

Giocare a pallone era la cosa che sapeva fare meglio. Era un passe-partout che gli permetteva di rendersi sempre simpatico e ben voluto.

 

Ricoprì il ruolo di centravanti e si sentì subito a suo agio. Recuperò il pallone in posizione arretrata e tenne palla per attirare gli avversari su di sé. Non appena vide il suo compagno smarcarsi, gli passò il pallone e scattò in avanti chiamando la triangolazione. Ricevette il passaggio di ritorno e si ritrovò a tu per tu con il portiere. Caricò il tiro ma un tizio piccolo di statura gli portò via il pallone con un intervento fulmineo ed efficace. Olli, impressionato dal pregevole gesto tecnico, lo guardò in faccia e riconobbe un viso conosciuto. Era Didier Deschamps.

Faticò a credere ai propri occhi ma non ebbe dubbi. Provò un'emozione incredibile nel confrontarsi con un giocatore di tale caratura, uno che con la Juventus aveva vinto la Champions League e che a suo tempo lo aveva fatto sognare di diventare bravo come lui. Tornò adolescente per un attimo. Lo rincorse e riuscì a soffiargli la palla con destrezza ed eleganza.

- Bravo! - disse Deschamps, a sua volta stupito.

 

Olli ripensò a quante volte avesse sperato in una seconda possibilità di avvicinarsi al calcio professionistico. S'illuse che forse, in modo fortuito e rocambolesco, quel suo exploit potesse riaprirgli le porte della Serie A. Perso nelle sue fantasie, non si avvide di un ragazzo di colore sopraggiunto a contrastarlo. Si voltò di scatto e si ritrovò davanti a Lilian Thuram. Accarezzò il pallone con la punta del piede lo superò facendogli il sombrero. Shakerato dalla gioia e dall'incredulità si convinse che, malgrado i suoi trent’anni suonati, il destino gli stesse offrendo una nuova chance.

 

Si lanciò in un'azione personale dove dribblò nell'ordine: Zinedine Zidane, Paul Pogba e David Trezeguet. Infervorato dalla surrealtà della situazione, riuscì a dare il meglio di sé. Aveva sempre saputo di essere un buon calciatore tuttavia non avrebbe mai creduto di poter mettere in fila una serie di numeri del genere.

Si liberò in veronica anche di Thierry Henry e di Patrick Viera. Era la sua giornata. Aveva quasi smesso di sperarci ma finalmente la sua occasione si stava materializzando. Si meritava Juve e lo stava dimostrando. Si portò in prossimità della porta avversaria ma Michel Platini lo stese con una scivolata da cartellino rosso. Finì a terra e reclamò il rigore, quando notò che a bordo campo ci fosse Margot.

 

La spiaggia dei francesi si fece silenziosa. Nella sua mente balenarono flash di nuotate al largo e di notti sotto le stelle. L’aveva conosciuta l'anno precedente proprio su quella spiaggia. Si erano incontrati a giugno e avevano trascorso insieme praticamente ogni giorno. Lei aveva prolungato le sue vacanze fino all’ultima settimana disponibile e avevano discusso la possibilità di continuare a frequentarsi seriamente. Ebbe a malapena il coraggio di farle un cenno con il braccio, nascondendo il suo disagio dietro un sorriso impacciato.

Margot gli aveva trasmesso entusiasmo e voglia di futuro ma Olli, per qualche insensato motivo, le aveva voltato le spalle. A settembre l’aveva accompagnata alla stazione e il giorno successivo aveva ripreso ad allenarsi.

Si sentivano al telefono e si erano scambiati qualche lettera. Margot aveva insistito ma Olli aveva temporeggiato. Trasferirsi a Parigi avrebbe significato chiudere con il calcio e dichiarare conclusa un’avventura durata vent’anni. “Ho perso il treno e ormai è tutto prenotato”, le disse la sera della vigilia di Natale in preda a una combinazione di indolenza e codardia. Da quel momento in poi aveva smesso di risponderle.

 

Sdraiato a pancia in giù sulla sabbia, circondato dai francesi della Juve inspiegabilmente riuniti per una partitella, Olli si rese conto di aver perso un’occasione assai più importante di provino con la Juve. Poteva incolpare un maledetto raffreddore se quella volta a Torino aveva perso l’occasione della vita ma di fronte a Margot non aveva scuse. Era stato un idiota. Era stato immaturo e vanaglorioso. Avrebbe dovuto chiedere scusa e avrebbe dovuto sperare di farsi perdonare, eppure l'idea trasferirsi con lei Parigi con lei d'un tratto gli parve il sogno più tenero da accarezzare.

 

Udì una serie di clacson strombazzare alle sue spalle e si ritrovò al volante della sua auto. Aveva comprato una 2CV proprio per farle piacere. “Ti verrò a trovare a Parigi con questa! “, le aveva assicurato. L’ingorgo riprese a muoversi a muoversi. Si fece una risata e, invece di andare al mare, prese la strada per Parigi.


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