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⦁ Pubblicato su Nido di Gazza n.19 il 01/02/2025
Il boss del Delta
Lessandro Biscaro finì in manette il 14 Marzo 2017, dopo quarantatré anni di latitanza. Si presentò al Pronto Soccorso con il volto nascosto dietro bandana e occhiali da sole e disse:
- Mi serve una pillola per la prostata.
- Ha la tessera sanitaria?
- No.
- Vuole dirmi il suo nome e cognome?
- Mi dia quella pillola, accidenti! Mi brucia da morire.
Ai piedi indossava un paio di scarpe da ginnastica fuori moda e un'orecchino d'oro gli penzolava dal lobo sinistro. L'infermiere che gli mise la flebo lo riconobbe grazie a un tatuaggio dei Rolling Stones sul bicipite e segnalò la sua presenza alla polizia.
La sua prima e unica carcerazione risaliva agli anni settanta, quando venne condannato a otto mesi di reclusione per aver rubato un tonno e venticinque kilogrammi di sardine a un pescatore. In realtà era rimasto dietro le sbarre meno di un giorno. Si tagliò barba e capelli durante la notte e si fece scambiare per il suo compagno di cella, scagionato il mattino seguente. Furto dopo furto, aveva preso il controllo del Delta. Se volevi pescare, avevi bisogno del suo permesso. Se volevi aprire un ristorante, avevi bisogno del suo permesso. Se volevi andare in spiaggia, eri libero di farlo. Ma se volevi ritrovare la macchina dove l'avevi lasciata, avevi bisogno del suo permesso.
L'ispettore Bertucci gli aveva dato la caccia fin dal primo giorno di servizio e gli fece uno strano effetto vederlo su un letto d'ospedale.
- Dicono che è uno di quelli brutti - disse Lessandro.
La sacca del catetere era piena di un liquido rossastro. La vestaglia gli stava larga e lasciava intravedere i peli del petto brizzolati. Un ragazzino di vent'anni in divisa gli faceva da piantone e se ne stava muto in un angolo con la pistola nella fondina.
- Lo sa, ispettore, che io non ho mai ammazzato nessuno? - continuò Lessandro.
Bertucci rimase sulla soglia con le mani in tasca. Non era la prima volta che Lessandro Biscaro veniva dato per morto. Nel settembre del 1993 si era gettato in mare da un motoscafo dopo un inseguimento durato ore. Si trovava a sei miglia dalla costa e nessuno, malgrado il mare calmo e la temperatura mite, avrebbe pensato di sentir più parlare di lui.
- Che fine hanno fatto tutti i tuoi amici? - chiese Bertucci.
Lessandro rise e fece l'occhiolino al giovane appuntato.
- Qui non possiamo operarlo. È un intervento troppo delicato - disse un giovane medico a Bertucci nel corridoio del reparto.
- Voglio due agenti in sala operatoria.
- Non si regge nemmeno in piedi, ispettore...
- Lei faccia il suo lavoro e non mi metta i bastoni fra le ruote!
Il medico abbassò il capo, sovrastato dall'autorevolezza di Bertucci. Avrebbe potuto fare carriera se fosse riuscito a catturarlo prima. Non sarebbe arrivato a un passo dalla pensione in una caserma di provincia, ad arrestare balordi e rubagalline.
- Dorma tranquillo, ispettore. Non capirò mai come fa sua moglie a sopportarla ancora! - gridò Lessandro dalla stanza di degenza.
Lo trasferirono nella stessa clinica privata dove dieci anni prima, sotto falso nome, era stato operato di calcoli alla cistifellea. Di questa storia tuttavia Bertucci non ne sapeva nulla. Presenziò all'intervento assieme al suo uomo migliore, bardato dalla testa ai piedi come i chirurghi. Lessandro, prima di essere intubato, lo guardò con un sorriso beffardo e disse:
- Una volta mi toccava pagare per farmi le pere...
L'operazione durò diverse ore. Bertucci non gli staccò mai gli occhi di dosso, nemmeno quando gli aprirono la pancia, tuttavia un cicalino troppo squillante per significare qualcosa di buono interruppe le manovre dei medici.
- Lo sto perdendo! - disse l'anestesista.
Gli infusero una sacca di sangue e gli si strinsero attorno con le apparecchiature di emergenza. Bertucci cercò invano di capirci qualcosa finché un infermiere, nella concitazione del momento, gli diede una spallata e lo invitò a farsi da parte. Il cuore di Lessandro Biscaro smise di battere presumibilmente alle 17.30 del 16 Marzo 2017. Avvolsero il corpo in un lenzuolo e i barellieri se lo portarono via.
- Ho il dovere di assistere all'ispezione cadaverica - disse Bertucci al primario qualche ora più tardi.
- Non è possibile. Hanno già chiuso la bara.
- Come sarebbe a dire!?
- Me ne sono occupato io stesso. Il mio certificato ha valore legale.
- Ma si tratta di un pericoloso criminale.
- È morto, ispettore. Si metta il cuore in pace.
Bertucci chiamò il prefetto ma il telefono squillò a vuoto.
Ai funerali non c'era quasi nessuno. I parenti parlottavano a testa bassa mentre le amanti si guardavano in cagnesco. Quattro signori in abito nero sollevarono la bara senza sforzo e la infilarono nel crematorio.
- Fermi tutti. La bara è vuota! - gridò Bertucci.
Lo guardarono male e una donna si mise a piangere.
- È vuota, vi dico!
- Un po' di rispetto, ispettore! - disse il prefetto.
- Ma non ha visto come l'hanno alzata facilmente!? Quel delinquente ci sta fregando di nuovo!
- E' andata così. Se ne faccia una ragione e si goda il suo momento di gloria.
Bertucci, benché certo della sua intuizione, fu costretto a desistere. Un vento fresco di primavera spazzò via ciò che rimaneva dell'inverno. Le mimose erano ancora in fiore.
Bertucci finì sui giornali come l'ispettore che aveva finalmente consegnato il boss del Delta alla giustizia, era tuttavia sicuro che l'avesse fatta franca. Se volevi aprire una clinica privata, ti serviva il suo permesso. Se volevi gestire un'impresa di pompe funebri, ti serviva il suo permesso. Se volevi fare il prefetto...
Due settimane più tardi Bertucci ricevette una cartolina dalla Svizzera. Sul retro, in un corsivo stentato, trovò poche parole: "Mi lasci morire in pace, ispettore. Ce l'ho per davvero uno di quelli brutti. Anche se dovesse trovarmi, mi concederebbero gli arresti domiciliari. Saluti a sua moglie".

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